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8a SETTIMANA MONDIALE della Diffusione in Rete Internet nel MONDO de

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dai GIORNALI di OGGI

Giustizia, Italia agli ultimi posti al mondo

2009-01-30

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L'ARGOMENTO DI OGGI

 

Amministrazione Giustizia: Recupero Crediti

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ITALIA

FRANCIA

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GIAPPONE

SPAGNA

INGHILTERRA

Durata gg

1210

331

394

316

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AvvocatiX1000

213

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155

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Dati

Anno

2006

2008

%

1,22

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Mld Euro

8,155

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Euro/Abitante

138

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Bilancio Italia

668,505

752,593

       

Popolazione

 

59000000

       

Avvocati

 

213

       

Giudici

 

8359

       

Notai

 

4675

       

CORRIERE della SERA

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2009-01-31

APERTURA DELL'ANNO GIUDIZIARIO nelle corti d'appello italiane

La denuncia dei magistrati

"Politica, difficile rapporto"

Santacroce, Roma: "Situazione allarmante". Grechi, Milano: numero impressionante di cause civili pendenti

Il presidente della corte d'appello di Milano Giuseppe Grechi (Fotogramma)

Il presidente della corte d'appello di Milano Giuseppe Grechi (Fotogramma)

MILANO - L'apertura dell'anno giudiziario, in tutte le corti d'appello italiane, offre oggi l'occasione di riflettere sui "mali" della giustizia del nostro Paese. Occhi puntati in particolare su Milano e Roma. Il presidente della corte d'appello di Milano, Giuseppe Grechi, nella sua relazione inaugurale ha sottolineato come in Italia si facciano troppi processi: "L'Italia detiene, con largo margine, il primo posto assoluto in Europa per "numero di affari penali relativi a infrazioni qualificate come gravi, pendenti dinnanzi ai tribunali di primo grado". "Quanto al numero di reati per abitanti - ha sottolineato l'alto magistrato -, siamo secondi solo alla Bosnia Erzegovina". "Sono poche invece in Italia, rispetto agli altri Paesi, le infrazioni minori per le quali non viene innescato il complesso meccanismo del processo penale - ha concluso Grechi -. È evidente che non siamo al cospetto della malvagità di un popolo ma di una politica di "pan-penalizzazione" che si dimostra da sempre di fatto incontenibile, anche perché non sa affidare a organi amministrativi efficienti l'accertamento e la sanzione delle infrazioni meno gravi".

CAUSE CIVILI PENDENTI - Il "dato più impressionante", per Grechi, è l'entità del contenzioso civile: "Per limitarci al primo grado di giudizio, abbiamo un "debito pubblico" di cause civili pendenti che è quasi il doppio della Germania, più del triplo della Francia, più del quadruplo della Spagna". E in fatto di capacità di smaltimento degli affari civili l'Italia è in fondo alla classifica europea, seguita solo da Andorra e Georgia; quanto alla durata delle cause siamo al sest'ultimo posto (precedendo solo Bosnia Erzegovina, Cipro, Andorra, Croazia e Slovenia).

IL CASO ENGLARO - Sul caso di Eluana Englaro, Grechi ha sottolineato che la corte d'appello civile di Milano che è stata chiamata a decidere "non ha invaso territori altrui". "La Costituzione è fondata sulla separazione dei poteri, per cui un potere non può interferire nelle decisioni di un altro". Quindi, né il potere esecutivo né quello legislativo possono annullare le sentenze definitive.

INGERENZE DELLA POLITICA- "La situazione è di estrema drammaticità", ha detto Giorgio Santacroce, presidente della corte d'appello di Roma. "In tutte le nazioni esistono contrasti tra magistratura e politica", ha ricordato Santacroce, "ma da noi la situazione si rivela più grave e sconfortante perché questi contrasti sono vissuti e usati quasi sempre per scatenare sterili polemiche, o servono ad alimentare campagna di vera e propria delegittimazione del ruolo della magistratura nella sua interezza". E ancora: "La crisi della giustizia è grave e allarmante, come mai in passato. Ma il giudice italiano non può continuare a vivere il suo rapporto con la politica in modo perennemente teso e conflittuale".

PROCESSI TROPPO LUNGHI - Santacroce ha anche puntato il dito sull'eccessiva lentezza dei processi in Italia. Per Santacroce occorre una vera e propria "rivoluzione culturale, l'affermazione di un'etica pubblica fondata su una ritrovata legalità, anziché sull'idea fuorviante che l'illegalità degli altri sia sufficiente a giustificare la propria". Ha quindi auspicato "maggiore snellezza e celerità ai processi civili e penali": "Rendere prontamente giustizia è indispensabile nell'interesse dei cittadini che aspettano un segno tangibile di giustizia".

AURIEMMA: "ATTACCHI DALLA TV" - Ancora sulle ingerenze della politica, durissimo l'intervento del presidente dell' Associazione nazionale magistrati del distretto Roma-Lazio, Paolo Auriemma, per il quale assistiamo a "una continua erosione della credibilità della magistratura con attacchi sempre più virulenti anche nel merito, con l'insistenza martellante degli imbonimenti televisivi di parzialità preconcette, formulate contro i giudici da rappresentanti anche elevati della classe politica". Auriemma ha parlato in sintesi "di una campagna di delegittimazione dei giudici che ha visto spesso in azione esponenti di rilievo" della politica.

LO SCONTRO TRA PROCURE - A Salerno era inevitabile, nella cerimonia di apertura dell'anno giudiziario, un riferimento alla "bufera" che ha travolto la procura nelle scorse settimane, con la sospensione da funzioni e stipendio del capo dei pm Luigi Apicella dopo lo scontro con i colleghi di Catanzaro, in seguito al caso De Magistris. Molto cauto il presidente facente funzione della Corte di Appello di Salerno, Matteo Casale: "L'estrema vicinanza degli accadimenti, la doverosa riservatezza, la non perfetta conoscenza degli atti giudiziari, il dovuto rispetto agli organi istituzionali ed a quelli giudiziari mi impongono di tenere il massimo riserbo". Casale ha ribadito la preoccupazione per quanto accaduto e che "la vicenda e la forte risonanza mediatica poteva incidere sulla già altalenante credibilità del Paese nelle istituzioni giudiziaria". "Posso soltanto affermare con fermezza - ha aggiunto - che la capacità di recupero che caratterizza da sempre gli operatori giudiziari ha consentito di mantenere alta la serenità di giudizio in tutto l'ambiente distrettuale".

E JANNELLI CITA BERLINGUER - Alla stessa vicenda il presidente della Corte di Appello di Catanzaro, Pietro Antonio Sirena, ha dedicato una pagina della sua relazione, dicendo di aver "reso edotto il Csm della situazione che andava maturando, già qualche tempo prima che questa precipitasse" e rallegrandosi perché "si è avuto un tempestivo intervento degli organi disciplinari e dello stesso nostro organo di autogoverno". Il procuratore generale di Catanzaro, Enzo Jannelli, nel suo intervento parlato dei rapporti tra politica e magistratura, citando il segretario del Pci Enrico Berlinguer.

PALERMO SENZA FONDI E PERSONALE - "Non siamo alla bancarotta ma siamo messi abbastanza male", ha riferito il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, a margine dell’apertura dell’anno giudiziario nel capoluogo siciliano. "Paghiamo i trasferimenti di tasca nostra - denuncia il pm - i rimborsi sono fermi, dobbiamo economizzare sulla carta, stampanti, toner, pc e fax e non ci sono fondi per gli straordinari". Il magistrato ha quindi ricordato come subito dopo le stragi di Falcone e Borsellino, anche nel pomeriggio, gli uffici giudiziari fossero pieni di personale. "Adesso i magistrati nel pomeriggio sono soli e non c’è personale".

31 gennaio 2009

 

 

 

 

 

Il Servizio che non c'è

di Vittorio Grevi

Forse mai come quest'anno il tema dominante dell’inaugurazione dell'anno giudiziario è stato quello dell’eccessiva dilatazione dei tempi del processo, in contrasto con la previsione costituzionale che ne impone la "ragionevole durata ". Un difetto di efficienza su cui si è ampiamente soffermata la relazione del primo presidente della Corte di Cassazione, Vincenzo Carbone, che vi ha ravvisato la principale causa della diffusa crisi di fiducia dei cittadini nella giurisdizione. Se la giustizia deve essere intesa come un "servizio essenziale" per la collettività (cioè, secondo una felice formula del presidente Napolitano, come un "servizio da rendere ai diritti ed alla sicurezza dei cittadini"), è chiaro che così non si può andare avanti.

Occorre, invece, procedere con decisione sulla strada delle riforme, ma con la consapevolezza che le più urgenti sono quelle dirette ad incidere, per l'appunto, sulla efficienza degli apparati giudiziari e sulla celerità dei ritmi processuali. E, allo scopo, non sono necessarie riforme di natura costituzionale, essendo sufficiente intervenire con intelligenza mediante leggi ordinarie. Purché, come si dirà tra breve, si tratti di riforme frutto di larghe intese. In questa prospettiva il presidente Carbone, dopo avere stigmatizzato il sempre più preoccupante verificarsi di fenomeni distorti di "abuso del processo ", ha anzitutto valutato con favore alcune proposte governative volte ad introdurre rilevanti modifiche, in funzione acceleratoria, nel tessuto del processo civile. Quanto al processo penale, fermo restando sullo sfondo il grave problema della irrazionale distribuzione delle sedi giudiziarie (sulla questione ha insistito anche il vicepresidente del Csm, Mancino), Carbone non ha mancato di toccare alcuni punti specifici di grande attualità.

Così, per esempio, ha auspicato la previsione di meccanismi deflattivi volti a dare concretezza al principio di obbligatorietà dell'azione penale; ha rivendicato al pubblico ministero il potere di direzione delle indagini, ovviamente in rapporto a specifiche ipotesi di reato; ha rimarcato l'esigenza di una revisione della disciplina della prescrizione in senso differenziato, anche allo scopo di non scoraggiare l'accesso ai riti speciali (patteggiamento e giudizio abbreviato). Circa il tema delle intercettazioni telefoniche — la cui natura di strumenti "essenziali", e spesso "indispensabili ", ai fini delle indagini, è stata sottolineata dal procuratore generale Esposito — il presidente Carbone ha invece preferito porre l'accento sul rischio di una loro "abnorme e poco giustificata reiterazione nel tempo ". Si tratta di un profilo assai delicato, oggi al centro del dibattito politico intorno ad un emendamento ministeriale che, riducendo di molto il concreto impiego di tale strumento investigativo, certo non si colloca nell'ottica della efficienza delle indagini. È questa una delle proposte di riforme all’orizzonte, sulla quale sarà bene riflettere a mente fredda operando un meditato bilanciamento degli interessi in gioco, e senza intenti punitivi verso la magistratura.

Anche perché l'esigenza di tutela della dignità delle persone, soprattutto di quelle estranee alle indagini (di cui ieri si è preoccupato il ministro Alfano), si realizza soprattutto nel senso di evitare alle stesse la "gogna mediatica", costituita dalla arbitraria pubblicazione delle loro conversazioni intercettate. In ogni caso, come ha ricordato Carbone al termine del suo discorso, le riforme in materia di giustizia vanno realizzate non in termini di "scontro" tra poteri dello Stato, bensì quale momento "di incontro e convergenza". Occorre, in sostanza, per riprendere il monito del presidente Napolitano, che si tratti di "riforme condivise": anzitutto tra le forze politiche, ma anche tra gli stessi studiosi ed operatori del settore, ivi compresi avvocati e magistrati. E, per quanto riguarda i magistrati, occorre che gli stessi (rinunciando ad eventuali tentazioni di protagonismo mediatico o di appartenenza correntizia) si collochino responsabilmente in una dimensione di serena cooperazione con le altre istituzioni dello Stato, con l'unico scopo di contribuire al buon funzionamento del "servizio giustizia".

31 gennaio 2009

 

 

 

un capitolo speciale nella relazione di milano

Caso Eluana, l'accusa dei giudici

"Le sentenze vanno rispettate"

Grechi: "Né il potere legislativo né il potere esecutivo possono porre nel nulla le sentenze definitive"

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NOTIZIE CORRELATE

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L'apertura dell'anno giudiziario

MILANO - C'è la politica, la questione delle intercettazioni, il tema delle riforme. Ma ci sono anche casi speciali, che coinvolgono temi morali accanto a questioni giuridiche. E quello di Eluana Englaro è uno di questi casi. Per questo ha assunto una rilevanza speciale e simbolica nella relazione del presidente della Corte d'Appello di Milano, Giuseppe Grechi, all'apertura dell'anno giudiziario. "Né il potere legislativo né il potere esecutivo possono porre nel nulla le sentenze definitive" ha detto in un passaggio dell'intervento, parlando a braccio. Una frase che è comparsa anche in una diapositiva proiettata sui megaschermi dell'aula magna di Palazzo di Giustizia.

"NESSUNA INVASIONE DI CAMPO" - Grechi ha sottolineato che "la Costituzione è fondata sulla separazione dei poteri per cui un potere non può interferire in un altro". E ha precisato che la Corte d'Appello civile di Milano "non ha invaso territori altrui" nel decidere sulla questione. "In uno Stato di diritto il giudice non può rifiutare una risposta, per quanto nuova o difficile sia la domanda di giustizia che gli viene rivolta. Per altro verso, nel cercare la risposta deve mantenere un atteggiamento di genuina umiltà e un costante ancoraggio ai principi della Costituzione. Nella vicenda di Eluana Englaro i giudici non hanno invaso territori altrui. Né il potere esecutivo, né il potere legislativo possono far finire nel nulla le sentenze definitive. La Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione e la Corte europea dei diritti dell'uomo hanno già confermato la correttezza dell'operato della Corte d'Appello, che non ha invaso territori altrui".

31 gennaio 2009

 

 

La Cassazione lancia l'allarme processi e si divide sulle intercettazioni

"Giustizia, tempi da Terzo Mondo"

Apertura dell'anno giudiziario. "Nel civile siamo solo al 156˚ posto dopo il Gabon e la Guinea"

ROMA — Inaugurazione dell'Anno giudiziario: magistratura divisa sulle intercettazioni. Tutti d'accordo sulla lentezza dei processi: l'Italia è al 156˚posto dopo Guinea e Gabon. Altri 16 giorni di ritardi nella durata media dei nostri processi e supereremo a ritroso anche lo staterello incastonato tra l'Eritrea e la Somalia. Questione di tempo: nella nostra retromarcia andiamo già peggio dell'Angola, del Gabon, della Guinea Bissau... Certo, Berlusconi spara sui "disfattisti " che demoralizzano le plebi incitando tutti ad essere ottimisti. L'ultimo rapporto "Doing Business 2009", però, non lascia scampo.

LA CLASSIFICA - La classifica, compilata "confrontando l'efficienza del sistema giudiziario nel consentire a una parte lesa di recuperare un pagamento scaduto ", dice che gli Usa stanno al 6˚ posto, la Germania al 9˚, la Francia al 10˚, il Giappone al 21˚ e i Paesi dell'Ocse, fatta la media dei bravissimi e dei mediocri sono al 33˚ posto. La Spagna, che tra i Paesi europei sta messa male, è 54˚. Noi addirittura 156˚. Su 181 Paesi. Un disastro. Tanto più che quell'elenco non rappresenta solo un'umiliazione morale. La Banca Mondiale la redige infatti per fornire parametri di valutazione agli operatori internazionali che vogliono investire in questo o quel Paese.

CONSEGUENZE ECONOMICHE - Il messaggio è netto: dall'Italia, in certe cose, è bene stare alla larga. Perché uno straniero dovrebbe venire a mettere soldi in un'impresa italiana davanti a certe storie esemplari? Prendete quella di una vecchia signora vicentina che aveva fatto causa alla banca perché l'aveva incitata a investire tutti i suoi risparmi in una finanziaria a rischio e nei famigerati bond argentini. Sapete per che giorno le hanno fissato la prossima udienza? Per il 17 febbraio 2014. Un piccolo imprenditore veronese si è visto dare l'appuntamento per il 2016. Per non dire del caso del signor Otello Semeraro, che mesi fa non s'è presentato al tribunale di Taranto dov'era convocato per assistere all'ennesima puntata del fallimento della sua azienda. Indimenticabile il verbale: "Il giudice dà atto che all'udienza né il fallito né alcun creditore è comparso". C'era da capirlo: come dimostravano le carte processuali della moglie, citata come "vedova Semeraro", l'uomo era defunto. Nonostante la buona volontà, non era infatti riuscito a sopravvivere a un iter giudiziario cominciato nel 1962, quando la Francia riconosceva l'indipendenza dell'Algeria, Kennedy era alle prese coi missili a Cuba e nella Juve giocavano Charles, Sivori e Nicolè. Quarantasei anni dopo, le somme recuperate dal fallimento sono risultate pari a 188.314 euro. Ma nel '62 quei soldi pesavano quasi quanto quattro milioni attuali. Forse, se la giustizia fosse stata più rapida, qualche creditore non sarebbe fallito, qualche dipendente non avrebbe passato dei periodi grami...

UNA "CATASTROFE" - Perché questo è il punto: la catastrofe ammessa ieri dal presidente della Cassazione Vincenzo Carbone, a conferma della denuncia di giovedì del presidente della Corte Europea per i diritti umani, Jean-Paul Costa, durissimo nel ricordare che l'Italia è la maglia nera della giustizia europea ("4.200 cause pendenti contro le 2.500 della Germania e le 1.289 della Gran Bretagna, quasi tutte per la lunghezza dei processi"), non tocca solo la dignità delle persone. Incide pesantemente sull'economia. Basti citare il libro "Fine pena mai" di Luigi Ferrarella: "Confartigianato, elaborando dati 2005 di Istat e Infocamere, ha proposto una stima di quanto la lentezza delle procedure fallimentari, in media 8 anni e 8 mesi, possa costare ogni anno alle imprese artigiane: un miliardo e 160 milioni di euro per il costo del ritardo nella riscossione dei propri crediti, e un miliardo e 170 milioni di euro di maggiori oneri finanziari per le imprese costrette a prendere in prestito le risorse". Totale: oltre 2 miliardi e 300 milioni di euro. Cioè 384mila di "buco giudiziario" per ogni impresa. Un sacco di soldi. Che in anni di vacche grasse possono azzoppare una piccola azienda. Ma in anni di vacche magre o magrissime, come questo, l'ammazzano.

SPIRALE PERVERSA - Di più: il sistema si è avvitato in una spirale così perversa che la "legge Pinto " per il giusto processo ha partorito altri 40 mila processi intentati dai cittadini esasperati dalla lentezza dei processi precedenti e cominciano già ad ammucchiarsi i processi che chiedono un risarcimento per la lentezza dei processi avviati per avere un risarcimento dei danni subiti da processi troppo lenti. Un incubo. Due anni fa la battuta dell'allora presidente della Cassazione Gaetano Nicastro ("Se lo Stato dovesse risarcire tutti i danneggiati dalla irragionevole durata dei processi, non basterebbero tre leggi Finanziarie") pareva uno sfogo esagerato. Ieri è arrivata la conferma: avanti così e ci arriveremo. Dall'introduzione della legge Pinto fino al 2006 lo Stato aveva dovuto tirar fuori 41,5 milioni di risarcimenti ma "in due anni sono 81,3 i milioni già sborsati, più almeno altri 36,6 milioni dovuti ma non ancora pagati, per un totale di circa 118 milioni".

PATROCINIO GRATUITO AI MAFIOSI - Una emorragia devastante. Al quale si aggiunge un'altra ferita che butta sangue: il gratuito patrocinio concesso a decine di migliaia di persone. Ottantaquattromila sono stati, nel solo 2008, gli imputati che hanno ottenuto l'avvocato difensore pagato dallo Stato. Per un totale di 85 milioni di euro. Spesso buttati in un eccesso di garantismo peloso. Con l'assegnazione automatica di un difensore d'ufficio non solo a tutti gli stranieri "irreperibili" (che magari danno un nome falso e verranno processati inutilmente fino in Cassazione) ma addirittura a mafiosi che dichiarano un reddito inesistente (come Leoluca Bagarella e Antonino Marchese che, imputati dell'omicidio di un vicebrigadiere, chiesero la ricusazione della Corte d'Appello perché aveva loro revocato l'avvocato gratis) e perfino a latitanti. Ma in questo quadro, più nero di un quadro nero del Goya, sono davvero centrali la battaglia sulle intercettazioni o la separazione delle carriere? Giustiniano, di cui il Cavaliere disse di avere in camera un ritratto, forse si muoverebbe in modo diverso.

Gian Antonio Stella

31 gennaio 2009

 

 

2009-01-30

inaugurazione dell’anno giudiziario

Cassazione: "Intercettazioni essenziali"

Carbone: "In Italia processi più lenti che in Africa". Alfano: "Riforma per frenare la gogna mediatica"

Il capo dello Stato Giorgio Napolitano, il primo presidente della Corte Vincenzo Carbone, il Procuratore Generale Vitaliano Esposito (LaPresse)

Il capo dello Stato Giorgio Napolitano, il primo presidente della Corte Vincenzo Carbone, il Procuratore Generale Vitaliano Esposito (LaPresse)

ROMA - Riforma e intercettazioni. Riflettori puntati su questi due punti durante la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario. Le intercettazioni telefoniche costano molto, ma sono strumenti di indagine essenziali. Questo il punto di vista espresso dal procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario. "Sono strumenti utili per il contrasto a diversi fenomeni criminali e ancora di più necessari per le indagini sulla criminalità organizzata o finalizzate alla cattura di latitanti, in un periodo storico in cui il contributo dei collaboratori di giustizia è estremamente ridotto. L’auspicio è che siano reperite risorse adeguate a un servizio più efficiente".

"STOP A GOGNA MEDIATICA" - Nel suo intervento il ministro della Giustizia Angelino Alfano, ha spiegato che le riforme del processo penale a cui il governo sta lavorando avranno, tra l'altro, come obiettivo quello di porre un freno a una "gogna mediatica" che danneggia la dignità della persona. "Stiamo lavorando ad un diritto processuale autenticamente giusto, rispettoso al contempo delle esigenze investigative e della dignità della persona, soprattutto se estranea all'investigazione e, tuttavia, coinvolta in quella che troppo spesso diventa una gogna mediatica tanto invincibile quanto insopportabile". Nel suo discorso il Guardasigilli ha messo anche l'accento sulle polemiche circa i rapporti tra politica e magistratura, sottolineando che "esse suscitano l'interesse degli addetti ai lavori, ma non sempre coinvolgono quel popolo italiano nel cui nome ogni giorno, tra mille difficoltà che nessuno intende negare". Secondo il ministro della Giustizia, inoltre, "vi è un nemico non convenzionale e occulto della giustizia: è la rassegnazione all’inefficienza, alle polemiche e allo status quo". L’obiettivo dell’azione del governo a riguardo, ha spiegato Alfano, cui devono contribuire tutti gli attori del mondo della giustizia "facendo gioco di squadra" è "quello di ridare con urgenza dignità alla giustizia civile" che per troppo tempo è rimasta "la sorella povera del sistema giudiziario".

"LA RIFORMA SIA CONDIVISA" - Anche il vicepresidente del Csm Nicola Mancino ha parlato della riforma della giustizia, sottolineando che deve essere "praticabile e condivisa". "Quella che stiamo vivendo è una fase interessante per affrontare le riforme necessarie nel settore giustizia, come Lei, con grande equilibrio e riconosciuto senso delle istituzioni, puntalmente sottolinea auspicando capacità di ascolto e di dialogo fra le forze politiche e la magistratura" ha detto rivolgendosi al presidente Napolitano. Il Csm, aggiunge Mancino "è pronto a fare la sua parte, a dare il suo contributo".

PROCESSI LENTI - Il primo presidente Vincenzo Carbone ha sottolineato che in Italia i processi del settore civile avvengono a una velocità che ci pone - nella graduatoria dell'efficienza giudiziaria - al posto numero 156 (su un totale di 181 Paesi), attestandoci così dopo Stati come l'Angola, il Gabon, la Guinea e Sao Tomè. I dati sono tratti da un rapporto della Banca Mondiale. "Non possiamo andare avanti così - ha aggiunto Carbone -. La crisi della giustizia ha conseguenze che vanno ben al di là dei costi e degli sprechi di un servizio inefficienti e si estendono alla fiducia dei cittadini, alla credibilità delle istituzioni democratiche, allo sviluppo e alla competitività del Paese. La crisi di fiducia da parte dei cittadini è la conseguenza più dolorosa dei dati appena esposti e l'incoraggiamento più forte a lavorare per modificarli".

I PRESENTI - Al Palazzo di Giustizia di Roma sono presenti, oltre al presidente Napolitano e al ministro Alfano, i presidenti di Senato e Camera Schifani e Fini, il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, i ministri degli Esteri Franco Frattini, della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, della Semplificazione legislativa Roberto Calderoli, il ministro ombra del Pd per la Giustizia Lanfranco Tenaglia, i vertici delle forze dell'ordine e militari.

30 gennaio 2009

 

 

 

 

 

Aggiotaggio e insider trading tolti e rimessi: solo un refuso

Intercettazioni, il governo le dimezza

Il Pd: "Votiamo contro"

Saranno previste soltanto per "gravi indizi di colpevolezza".

ROMA - Sul ddl Alfano che mette un forte limite alle intercettazioni telefoniche, anche nella versione riveduta e corretta dal governo con gli 8 emendamenti presentati ieri alla Camera, si profila un voto già la prossima settimana in commissione con una maggioranza più ampia che comprenderà quanto meno il via libera dell’Udc e probabilmente anche quello dei radicali.

L’operazione di ricucitura con centristi e radicali, tessuta dal Guardasigilli, mette ora il Pd nelle condizioni di correre da solo per affermare che Pdl e Lega non hanno voluto il dialogo: "Senza marcia indietro del governo il voto resterà contrario" ha detto Lanfranco Tenaglia al termine della riunione del governo ombra. E Walter Veltroni ha parlato di "distanze molto forti ": "La nostra posizione è per la massima libertà di intercettare evitando però che il contenuto delle telefonate finisca impropriamente sui giornali e questa è una posizione del Pd e anche, vorrei ricordarlo, dell’Italia dei valori". Lo spiraglio aperto con l’ipotesi di un’astensione del Pd, dunque, si è richiuso perché uno degli emendamenti presentati dal sottosegretario Giacomo Caliendo propone i "gravi indizi di colpevolezza" come presupposto per le intercettazioni, l’acquisizione dei tabulati e le riprese visive per tutte le indagini escluse quelle di mafia e terrorismo.

Gravi indizi di colpevolezza (oggi "gravi indizi di reato") vuol dire un dimezzamento degli strumenti della polizia giudiziaria nel perseguire i reati anche gravi che non sono di mafia e terrorismo. Le intercettazioni scatteranno solo se ci sarà un "quasi colpevole" che, a quel punto, potrebbe incappare anche nella custodia cautelare visto che i requisiti saranno gli stessi. E quando scatteranno (su autorizzazione di un gip collegiale nel capoluogo di distretto), gli ascolti dureranno meno: 45 giorni con una proroga di altri 15 solo se saranno "emersi nuovi elementi". In caso di procedimenti contro ignoti l’intercettazione ci sarà solo su richiesta della parte lesa sulle sue utenze e per il resto il controllo si limiterà all’acquisizione dei tabulati. Sarà impossibile intercettare due detenuti se uno dei due non è in carcere per mafia o terrorismo. La Digos dovrà chiedere l’autorizzazione al gip collegiale per puntare le telecamere sui cortei e sulle curve degli stadi. E ancora: le intercettazioni ambientali si potranno fare solo se "nei luoghi ove è disposta si stia svolgendo l’attività criminosa". Stop, poi, alle udienze in tv senza consenso delle parti.

Il giro di vite è forte nonostante Giulia Bongiorno (An) e la Lega abbiano puntato i piedi: forse per questo il governo ha detto che è solo colpa di un refuso la cancellazione dell’aggiottaggio e dell’insider tarding dal ddl: "Il testo corretto è già stato spedito alla Camera" ha recuperato Caliendo. Il ddl così articolato, dunque, non dispiace all’Udc: "Non faremo barricate, anzi abbiamo contribuito a rimuovere quelle erette dalla maggioranza " dice Michele Vietti al quale fa subito da sponda Enrico Costa (Pdl) che auspica "un intenso dialogo con l’Udc". E Rita Bernardini (radicali) ricorda che "la riforma della giustizia andrebbe fatta tutta insieme: "Se c’è questa condizione noi vogliamo solo collaborare". Infine la Fieg, gli editori, penalizzati in caso di pubblicazione delle intercettazioni: "No agli abusi ma bisogna salvaguardare il diritto di cronaca" dice il presidente Carlo Malinconico.

Dino Martirano

30 gennaio 2009

 

 

 

I doveri di un giudice

di Giovanni Bianconi

Ha impiegato quasi un mese Luigi De Magistris — giudice del tribunale del Riesame di Napoli, ma più famoso per essere l’ex pubblico ministero di Catanzaro rimosso da sede e funzioni, per motivi disciplinari, dal Consiglio superiore della magistratura— a scrivere i motivi per cui l’imprenditore Alfredo Romeo è rimasto in carcere. Era il tempo evidentemente necessario a studiare tutte le carte e spiegare, nei minimi dettagli che hanno richiesto 106 pagine, quella decisione.

Nel frattempo però avrà fatto anche altro, e certamente avrà seguito la vicenda tornata alla ribalta delle cronache sul cosiddetto "archivio Genchi", dal nome del consulente tecnico di cui proprio lui s’è servito per le sue inchieste calabresi, fino al momento in cui gli sono state sottratte. Vicenda che quindi lo coinvolge personalmente. Una settimana fa il dottor De Magistris ha saputo di essere stato convocato, per dare spiegazioni sul lavoro di Genchi, dal comitato parlamentare per la sicurezza presieduto dal senatore Francesco Rutelli. Il quale ha pubblicamente annunciato che l’organismo da lui guidato svolgerà un lavoro "equilibrato e severo" per accertare quello che c’è (se c’è) dentro e dietro l’"archivio Genchi"; che poi potrebbe chiamarsi Genchi-De Magistris, visto che il materiale arrivato in Parlamento è figlio del lavoro congiunto del magistrato che delegava e del perito che acquisiva dati, li elaborava e ne chiedeva altri, e poi il magistrato delegava di nuovo, e così via.

Dunque il giudice sapeva di doversi presentare davanti a Rutelli quando ha scritto (o ha lasciato scritto, se l’aveva fatto prima), nelle motivazioni sull’imprenditore Romeo tenuto in carcere con l’accusa di associazione per delinquere, corruzione e turbativa d’asta, che quest’ultimo aveva un "rapporto, che presenta aspetti francamente poco chiari, con l’allora ministro Francesco Rutelli". O quando, qualche riga sopra, ha definito "consolidati " i rapporti dello stesso Romeo "con i parlamentari Rutelli e Lusetti, entrambi del Partito democratico, e con l’onorevole Bocchino del Pdl". Mettendo sullo stesso piano il primo (ascoltato su sua iniziativa in qualità di testimone nell’inchiesta napoletana, di cui non risultano al momento contatti diretti con l’imprenditore inquisito) con gli altri due che invece sono indagati e per i quali la Procura ha chiesto l’arresto, considerandoli "sodali " di Romeo nella presunta associazione per delinquere.

Letti alla luce di ciò che è accaduto negli ultimi giorni, gli accenni di De Magistris a Rutelli appaiono, con la stessa franchezza rivendicata dal giudice, generici e un po’ gratuiti. Inopportuni e fuori luogo. Perché possono far pensare a un’accusa buttata lì, en passant, senza che ce ne fosse motivo. Con la conseguenza che tutti possono immaginare chissà quale motivo; compreso il tentativo di delegittimare uno dei suoi "controllori". Sospetto talmente inquietante che un magistrato non può permettersi di suscitare. Sulla vicenda del cosiddetto "archivio Genchi" è bene che non si sollevino ulteriori polveroni e si faccia chiarezza, nell’interesse di tutti; a cominciare dal consulente e da De Magistris, che ritengono di aver svolto il loro lavoro nel pieno rispetto di regole e garanzie. Bisogna accertare tutto senza strumentalizzazioni e senza scandalismi, ma anche senza gettare ombre preventive e apparentemente pretestuose su chi quegli accertamenti è chiamato a svolgere.

30 gennaio 2009

 

REPUBBLICA

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2009-02-01

Il segretario dei democratici: "Provvedimenti che indeboliscono

l'autonomia della magistratura. Sulla sicurezza solo proclami"

Veltroni attacca il governo

"Accordo difficile sulla giustizia

<b>Veltroni attacca il governo<br/>"Accordo difficile sulla giustizia</b>

Walter Veltroni

ROMA - "Sulla giustizia è difficile trovare un accordo se l'esecutivo insegue solo la separazione delle carriere, lo svilimento del Csm o il blocco sostanziale delle intercettazioni come strumento d'indagine". Walter Veltroni, in una intervista sul mensile 'Pocket', non nasconde il suo scetticismo. I primi passi fatti dal Governo non convincono i Democratici. Allontanando la prospettiva che le nuove norme possano essere scritte in modo bipartisan. "Tutti questi provvedimenti - sottolinea Veltroni - indeboliscono l'autonomia della magistratura senza rendere più efficiente la giustizia".

Il segretario del Pd ricorda le proposte avanazate dal suo partito "che partono dalla necessita' di far funzionare la macchina giudiziaria e di accrescere le garanzie dei cittadini". Dai processi in tempi più rapidi, alle pene certe, alla tutela della privacy dei cittadini. Per adesso, però, ragiona Veltroni "dal governo non è arrivata una proposta concreta, solo molte voci e molte divisioni. Ma siamo qui, aspettiamo di avere un pacchetto di proposte definitivo e forse qualcosa, anche nella maggioranza, si sta muovendo".

La prima reazione alle parole di Veltroni arriva per bocca del ministro per l'Attuazione del programma Gianfranco Rotondi: "Sbaglia, questa maggioranza ha la volontà a realizzare la riforma della giustizia seguendo la strada della condivisione con l'opposizione e con quella parte più aperta della magistratura".

Le citiche del segretario democratico si spostano poi sul tema della sicurezza. ed è una bocciatura totale. "La cosa più significativa per le forze di sicurezza è stata tagliare pesantemente i loro fondi, che significa meno persone, meno auto di pattuglia, meno straordinari, meno innovazione tecnologica al servizio delle indagini. I pochi provvedimenti utili sono la copia del decreto Amato - continua Veltroni - Le statistiche dicono che i reati non calano, anzi sono in aumento. L'unica differenza è che la parola sicurezza, agitata in campagna elettorale a più non posso da tv e giornali, ora sembra scomparsa. Purtroppo invece i reati non basta toglierli dai media per farli scomparire. E, per restare in tema, l'immigrazione clandestina è aumentata invece di diminuire: la politica dei proclami non porta da nessuna parte".

(1 febbraio 2009)

 

 

 

 

 

La commedia delle sciocchezze

di GIUSEPPE D'AVANZO

Nel romanzo "Una sporca storia" di Eric Ambler, un personaggio, Arthur Abdel Simpson, ricorda i consigli che da bambino aveva ricevuto dal padre. Uno dei primi insegnamenti fu: "Mai dire una bugia quando puoi cavartela a forza di stronzate". Oggi sottovalutiamo troppo la sorprendente forza delle "stronzate" diventate per la pubblicità e soprattutto per la politica, che si nutre di slogan pubblicitari, un paradigma di governo, una strategia di consenso.

Un autorevole filosofo di Princeton, Harry Gordon Frankfurt, ci ha scritto su un delizioso libriccino (Bullshit, Rizzoli) per concludere che "l'essenza delle stronzate (bullshit) non sta nell'essere false, ma nell'essere finte". La distinzione torna utile per dare un senso a molte sortite del governo e certamente al fiume di parole del ministro di Giustizia, Angelino Alfano, dinanzi al quadro di un'amministrazione giudiziaria indegna anche per molti giovani stati africani. "Chi racconta stronzate contraffà le cose" dice Frankfurt. Ha ragione. Ciò che non va in una contraffazione non è l'aspetto, ma il modo in cui è stata prodotta.

Il disastro della giustizia italiana è sotto gli occhi di tutti, immutabile da decenni, difficile alterarne il catastrofico bilancio. I processi sono lentissimi, le procedure inutilmente cavillose, i codici contraddittori e fluidi. Il modello organizzativo, governato da norme astratte e quindi non governato, produce soltanto inefficienza. Le risorse sono sempre più scarse (meno 40 per cento per sicurezza e giustizia, quest'anno) e lasciano i magistrati senza fax, computer, rimborsi spese e scoperti gli organici del personale amministrativo di oltre il 15 per cento e le toghe in deficit dell'80 in alcuni tribunali del Mezzogiorno (come a Gela). L'incoerenza di una distribuzione degli uffici giudiziari disseminati in 29 corti di appello, 164 tribunali e procure, in 29 tribunali per minorenni e tribunali di sorveglianza assegna ad alcune sedi carichi di lavoro di tutto riposo, ad altre pesi quantitativi intollerabili. L'alluvione di riformicchie, cerottini e tamponi, leggi ad personam e precetti nonsense, mutano le mappe normative a ogni stagione, annullando la stessa funzione pratica del processo dove risulta impotente l'esercizio sia dei diritti di difesa che dei doveri dell'accusa. I gerghi sgrammaticati delle leggi fanno il resto: allevano la confusione e l'imbroglio, rendono impuniti i forti e i furbi, calpestano deboli e poveri cristi.

Questo è lo stato delle cose e neanche un mago della pubblicità riuscirebbe a truccarlo anche a spararle grosse. Stupefacenti "bullshit" possono soltanto confondere le ragioni della malattia e rendere vere le finte soluzioni a questo disastro. E' già avvenuto in passato (2001/2006) con il governo delle destre.

L'abolizione del falso in bilancio doveva liberare le aziende da inutili legacci; la riforma del diritto societario avrebbe reso più trasparente l'economia; nuovi termini di prescrizione avrebbero dato rapidità al processo; la riscrittura dell'ordinamento giudiziario avrebbe fatto funzionare meglio la "macchina". Con la voce di un ministro (che in otto mesi non ha ancora preparato il testo di una riforma sistemica o messo mano a un ripensamento dell'assetto organizzativo o assicurato almeno il toner alle stampanti), la nuova ondata di "bullshit" ci dice oggi che quel disastro troverà soluzione con la disciplina delle intercettazioni sottratte "finalmente" dalla scatola degli attrezzi dei pubblici ministeri; con la riforma della Costituzione (Dio solo sa che cosa c'entra); una maggiore presenza della politica nel consiglio superiore della magistratura (di questa politica); con un "fare squadra" di tutti gli attori in commedia per recitare un misterioso copione che nessuno ancora conosce perché non è stato ancora scritto.

"Bullshit", e tuttavia sarebbe un errore trascurare il metodo e il risultato che raccoglie. Inadatto a risolvere anche soltanto una delle criticità della giustizia, questo rosario di "sciocchezze", ripetuto ossessivamente, riesce a cancellare dal discorso pubblico ogni punto di riferimento, ogni certezza, qualsiasi concretezza, anche la più pallida coerenza tra malattia, diagnosi e terapia. Il governo, in fondo, non vuole convincere nessuno della validità della sua ricetta. Non ne ha bisogno. Ha i numeri per tirare diritto per la sua strada. Vuole solo distrarre l'opinione pubblica, sollevare polvere, creare una contrapposizione radicale di opinioni.

A ogni affermazione ne oppone una contraria (basta guardare un tiggì); a ogni ragionevole argomento un insulto; a ogni verità un falso palese. Nel rumore sempre più assordante che sovrasta la discussione sui guai della giustizia italiana, quanti riescono a farsi un'idea che abbia a che fare con la realtà di questa crisi? Quanti, in questo mare di strombazzanti chiacchiere, hanno ancora voglia di capire? E' l'esito dichiarato dell'uso intensivo di "bullshit": alla fine si fa largo "l'indifferenza per come stanno davvero le cose", scrive Frankfurt. E' proprio questo punto di indifferenza, disattenzione, nausea che può dare mano libera al governo.

Capiremo soltanto tra qualche anno, e dolorosamente, quante rovine si lascerà dietro questo vandalismo istituzionale. La distruzione del "servizio giustizia" per il cittadino, una magistratura indebolita, un'organizzazione impoverita, codici a maglie larghe, l'allentamento della rete di garanzie e controlli delle autorità pubbliche lasceranno l'intero Mezzogiorno nelle mani del crimine organizzato e della cattiva amministrazione, le città insicure, le regioni più produttive del Paese trasformate in target ghiotti per la delinquenza domestica e internazionale, i mercati senza regole e controllori governati dalle lobby e dai conflitti d'interesse. L'intero perimetro della sicurezza del cittadino sarà privato di un'accettabile vigilanza.

E' il prezzo che pagheremo alla pretesa del governo di trasformare la sua volontà in comando politico diretto per la magistratura, per il processo e addirittura per le sentenze. Ne è una conferma esemplare il caso di Eluana Englaro, ricordato ieri a Milano dal procuratore della corte d'appello Grechi. Un "caso" che rischia di travolgere diritti fondamentali, il diritto alla dignità della persona, il diritto alla salute che è diritto di vivere ma anche di morire se si ascolta la Costituzione (art. 32, ultimo comma): "La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". Non c'è in tutta la Carta un'altra affermazione così forte, ha osservato Stefano Rodotà. Persino la libertà personale è temperata dalla riserva di legge e dalla riserva di giurisdizione. Qui invece si dice in nessun caso. Quel diritto (il rispetto della persona umana) non può essere consegnato alla decisione del legislatore, figurarsi del governo perché "è indecidibile" e il custode di questa "indecidibilità" sono la Corte Costituzionale e i giudici. Eppure, la legittima "sentenza Englaro" che trova concorde la Cassazione, la Consulta e la Corte europea è negata dal governo: un diritto fondamentale cede il passo al comando politico. Sono allora lo scollamento dai fondamentali della democrazia liberale e il nostro diritto alla sicurezza le poste in gioco in questo conflitto e bisogna metterle bene a fuoco senza lasciarsi accecare (e annoiare) dalle "bullshit" del ministro di Giustizia.

(1 febbraio 2009)

 

 

 

 

 

2009-01-30

Roma, nell'aula Magna del 'Palazzaccio' il capo dello Stato e il ministro della Giustizia

Il primo presidente della Cassazione: "Giustizia più lenta che in Africa"

Inaugurato l'anno giudiziario

"Intercettazioni indispensabili"

Il Pg Vitaliano Esposito: "Servono più soldi". Alfano: "No a gogne mediatiche"

Inaugurato l'anno giudiziario "Intercettazioni indispensabili"

ROMA - Sì alla riforma ma senza scontri. Il primo presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone, apre così la sua relazione per l' inaugurazione dell' Anno Giudiziario 2009 della Suprema Corte. Lo fa mentre in platea lo ascoltano sia il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sia il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Lo stesso guardasigilli che, poco dopo, legherà la riforma che il governo ha in testa, con l'esigenza di evitare "gogne mediatiche".

E' un giro d'orizzonte a 360 gradi quello di Carbone. Che analizza, dettagliatamente, la situazione della giustizia. A partire dalle sue lentezze. "L' Italia al 151/mo posto su 181 paesi nella classifica mondiale dell' efficienza del sistemi giudiziari, siamo peggio dell'Africa" dice il presidente. Peggio di Angola, Gabon, la Guinea e Sao Tomè.

Poi tocca alle intercettazioni, argomento così caro a Silvio Berlusconi. Ne parla, per primo, il Pg della Cassazione Vitaliano Esposito: "Sono strumenti necessari per le indagini sulla criminalità organizzata o finalizzate alla cattura di latitanti. L'auspicio è che siano reperite risorse adeguate a un servizio più efficiente". Con una avvertenza:"Vanno vietate le proroghe abnormi delle intercettazioni, tranne in casi eccezionali, se non si sono ottenuti risultati apprezzabili" puntualizza Carbone.

Nella relazione del primo presidente c'è spazio anche per la critica alle toghe. Almeno a quelle che cedono "alle tentazioni mediatiche". "Il giudice comunica all'esterno il proprio lavoro attraverso la qualità e la tempestività dei provvedimenti che emana, non grazie alla popolarità delle trasmissioni cui partecipa o delle interviste che rilascia" dice Carbone.

Poi è la volta del ministro della Giustizia Angelino Alfano. Su di lui si concentrano le attenzioni delle toghe in vista dell'annunciata riforma della Giustizia. Per Alfano serve "un grande lavoro di squadra" e una riforma che metta fine alla "gogna mediatica". E se da un lato il ministro ribadisce il "sacro principio dell' autonomia della magistratura", dall'altro rivendica la responsabilità del servizio giustizia anche attraverso il controllo dell' efficienza del lavoro delle toghe.

Toni cauti e distesi, dunque. A fronte di un tema che, invece, provoca roventi polemiche. E se l'associazione nazionale magistrati dice di volere "rifuggire dal conflitto con la politica, che non ci appartiene", l'ultimo invito per una "riforma condivisa" arriva dal vice presidente del Csm Nicola Mancino, che respinge l' accusa di "mano leggera" del consiglio nelle sanzioni disciplinari nei confronti dei magistrati.

(30 gennaio 2009)

 

 

L'UNITA'

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2009-01-31

Magistratura e politica, un rapporto difficile

"In tutte le nazioni esistono contrasti tra magistratura e politica: la differenza che desta preoccupazione è che da noi la situazione si rivela più grave e sconfortante di quello che avviene in altri Paesi perchè questi contrasti sono vissuti e usati quasi sempre per

scatenare sterili polemiche, o servono ad alimentare campagna di vera e propria delegittimazione del ruolo della magistratura

nella sua interezza, anzichè essere occasione di riflessione e di un confronto franco e costruttivo". Lo sostiene il presidente della corte d'appello di Roma, Giorgio Santacroce, nella relazione per l'apertura dell'anno giudiziario.

"La crisi della giustizia - continua - è grave e allarmante, come mai in passato. Ma il giudice italiano non può continuare a vivere il suo rapporto con la politica in modo perennemente teso e conflittuale, soprattutto oggi che è proprio l'azione del giudice a risultare cruciale in un sistema di democrazia compiuta e matura".

A Milano il presidente della Corte d'appello Giuseppe Grechi, rimarca invece la situazione della giustizia civile che, stando alle statistiche, si colloca in coda alle classifiche di efficienza europee. "Il dato più impressionante - è scritto nel documento d'apertura dell'anno - è l'entità del contenzioso civile: per limitarci al primo grado di giudizio, abbiamo un "debito pubblico" di cause civili pendenti che è quasi il doppio della Germania, più del triplodella Francia, più del quadruplo della Spagna". Inoltre, in

relazione al numero di nuovi contenziosi civili per abitante "siamo al terzo posto assoluto in Europa (dopo i Paesi Bassi e

la Russia, che però li esauriscono pressochè tutti nel giro di un anno). Siamo invece in coda quanto a capacità di smaltimento degli affari civili (seguiti solo da Andorra e Georgia); e, quanto alla durata, siamo sestultimi (precedendo solo Bosnia-Erzegovina, Cipro, Andorra, Croazia e Slovenia)". Sempre in un'ottica europea, Grechi sottolinea che, mentre nel resto del Continente, negli ultimi 5 anni, "vi è stato in quasi tutti i Paesi un aumento degli investimenti per il funzionamento della giustizia, l'Italia non partecipa però diquesta tendenza, e soprattutto destina molto poco all'innovazione del sistema". In particolare, "siamo

classificati al penultimo livello per informatizzazione degli uffici giudiziari e per diffusione della comunicazione telematica".

"Un anno giudiziario molto importante quello che abbiamo davanti. Si presenta però come l'anno dei tagli. Io spero che la politica e la pubblica amministrazione ci affianchino per dare più uomini e mezzi, perchè non siamo alla bancarotta dell'Antimafia, ma non cisiamo neanche tanto lontani". Lo ha detto rispondendo alle domande dei giornalisti, il procuratore aggiunto di Palermo

Antonio Ingroia, a margine dell'apertura dell'anno giudiziario. "Oggi i magistrati - ha riferito Ingroia - devono anticipare di tasca propria le spese per i trasferimenti per sentire i collaboratori di giustizia. I rimborsi sono fermi allo scorso ottobre e noi non siamo ricchissimi come i nostri imputati. C'è carenza di stampanti, di fotocopiatrici, di fax. E nel pomeriggio nelle stanze delle procure troverete solo i magistrati e non l'altro personale".

31 gennaio 2009

 

 

 

 

L'esponente del Pdl: 'l'operato dei giudici non diventi arbitrio'

Parla di camorra, dell'autonomia dei giudici il cui operato è auspicabile che "non diventi arbitrio". Cita Verga e chiama in causa anche le intercettazioni "il cui uso non si sta limitando per alcun reato". A Napoli, il suo 'esordiò da ministro all' inaugurazione dell'anno giudiziario in un distretto, Angelino Alfano parta di una riforma della giustizia che "viene avvertita da tutti non come un capriccio ma come una indifferibile necessità". Il suo incipit lo affida al problema dei problemi per la Campania e gran parte del Sud: la criminalità organizzata.

Rivendica la 'fase antimafià del Governo, una lotta "con leggi, non con parole2. Del resto la camorra e la mafia, "derubano non solo la ricchezza ma anche la speranza del futuro". Poi cita Verga, "chi tocca la roba verghiana muore, però muoiono anche loro se gli si tocca la roba".

Poi, entra nel tema della giustizia, quella dei 5 milioni di processi civili pendenti e degli oltre 3 milioni di procedimenti penali pendenti e ribadisce: "La risposta ritardata dello stato è come se fosse una risposta di giustizia denegata". Riconosce l'autonomia e l'indipendenza dei giudici "che non può scindersi dall'efficienza e del servizio che i magistrati devono rendere ai cittadini", ma dice anche che si sta lavorando "ad un sistema di controlli efficace che avrà poi il compito di verificare la professionalità dei magistrati in modo da garantire che il loro operato, doverosamente autonomo e indipendente, non si trasformi in autoreferenzialità o in mero arbitrio".

Per la riforma, Alfano ne è "consapevole", "l'intervento sulla Costituzione non risolve da solo la materia dell'efficienza, della rapidità e della velocità dei processi". "Ma noi - dice - stiamo lavorando a un obiettivo tendente a un processo giusto e rapido,

consapevoli che la rapidità senza giustizia è un'ingiustizia, al pari della giustizia senza rapidità". Il "vero nemico" della giustizia, del resto,"è la lentezza e la rassegnazione". Un passaggio lo riserva anche alle intercettazioni ("non le limitiamo per alcun reato") e alle carceri piene, problema "che non frenerà la nostra lotta alla criminalità". La riforma della giustizia "è un compito arduo", ecco perchè Alfano torna a parlare della necessità di un lavoro di squadra: "Una squadra che esiste, si chiama Stato". Una squadra, conclude, "che vince se ciascuno dei giocatori non si illude di giocare per sè"

31 gennaio 2009

 

 

 

 

2009-01-30

I magistrati: "In Italia processi più lenti che in Africa"

In Italia i processi del settore civile avvengono a una velocità che ci pone - nella graduatoria dell'efficienza giudiziaria - al posto n. 156 (su un totale di 181 Paesi), attestandoci così, per la lentezza dei processi, dopo Stati come l'Angola, il Gabon, la Guinea e Sao Tomè. Lo sottolinea il Primo presidente della Cassazione Vincenzo Carbone nella sua relazione per l'apertura dell'Anno Giudiziario 2009. I dati sono tratti da un rapporto della Banca Mondiale.

E la lentezza si paga. Nel 2008 sono costati 32 milioni e 103.163 euro all'erario dello Stato gli indennizzi pagati ai cittadini per la lentezza dei processi, in base a quanto stabilito dalla legge Pinto. Lo sottolinea il Procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, nella sua relazione all'inaugurazione dell'anno giudiziario.ù Le richieste di indennizzo e i decreti di accoglimento sono aumentate del 19% rispetto all'anno precedente. Le richieste accolte sono state 6.177 nel 2008, mentre erano 5.014 nel 2007. I Supremi giudici hanno aumentato del 9% il numero delle procedure definite - per l'attribuzione dei benefici della legge Pinto - decidendo 5.517 richieste a fronte delle 4.959 del 2007. Il trend è dunque crescente sia per quanto riguarda i costi per lo Stato sia per quanto riguarda le domande presentate.

Dal presidente della Cassazione Vincenzo Carbone invece è venuta anche una presa di posizione per l'esposizione mediatica di alcuni giudici. Quello del giudice è un "mestiere difficile", ha detto il magistrato, ma le toghe "senza anelare a fama e potere", per svolgere correttamente la loro funzione, devono "in primo luogo evitare tentazioni mediatiche ". Carbone invita anche a "evitare la realizzazione di veri e propri 'processi mediaticì simulando al di fuori degli uffici giudiziari e magari anche con la partecipazione di magistrati lo svolgimento di un giudizio mentre è ancora in corso il processo nelle sedi istituzionali".

Carbone ha anche speso qualche parola per il caso intercettazioni. "Il principale problema della questione delle intercettazioni risiede nella loro abnorme e poco giustificata reiterazione nel tempo. Dovrebbero essere vietate le proroghe se nel periodo inizialmente stabilito non si sono raggiunti risultati apprezzabili, tranne casi eccezionali rigorosamente motivati". Carbone inoltre vorrebbe abolire "la prassi di trascrivere nei provvedimenti giudiziari pagine e pagine di inutili intercettazioni, lasciando riservate le parti che non sono necessarie e motivando, invece, la rilevanza della parti trascritte in relazione al processo in corso". Per Carbone sarebbe infine "utile" istituire un archivio riservato delle intercettazioni che sia accessibile al pm e all'avvocato.

30 gennaio 2009

 

 

 

 

 

il SOLE 24 ORE

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2009-01-30

RELAZIONE PRESIDENTE CASSAZIONE

INTERVENTO PROCUR GEN REPUBBL

SENTENZE

Giustizia, Italia agli ultimi posti al mondo per efficienza sistema

di Beatrice Dalia

30 gennaio 2009

La relazione del primo presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone

L'intervento del procuratore generale Esposito

L'intervento del ministro della Giustizia Alfano

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"Non possiamo andare avanti così ". È secco il monito del Primo presidente della Corte di cassazione, Vincenzo Carbone, che oggi nella relazione di apertura dell'anno giudiziario, nell'aula Magna del "Palazzaccio", alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, mette in evidenza come il ritardo della Giustizia italiana sia un danno per l'intero sistema-Paese. La classifica internazionale sui tempi processuali contenuta nel rapporto Doing Business che la Banca Mondiale redige per fornire indicazioni alle imprese sui Paesi in cui è più vantaggioso investire, infatti, rivela una posizione dell'Italia davvero penalizzante. Si trova al 156° posto su 181 Paesi nel Mondo quanto a efficienza della giustizia. Addirittura viene dopo Angola, Gabon, Guinea, São Tome e prima di Gibuti, Liberia, Sri Lanka, Trinidad. "La crisi della Giustizia - spiega Carbone - ha conseguenze che vanno ben al di là dei costi e degli sprechi di un servizio inefficiente e si estendono alla fiducia dei cittadini, alla credibilità delle istituzioni democratiche, allo sviluppo e alla competitività del Paese".

Persino l'elevato numero di avvocati, per Carbone, è un sintomo negativo e va capito fino a quando tale abbondanza di operatori sia necessaria a dare giuste risposte alle pretese dei cittadini e quando invece l'assenza di un numero chiuso, come avviene per altre categorie di professionisti, provochi un surplus di domanda di giustizia.

In ogni caso, una delle gravi cause di disfunzione, ad avviso del numero uno della Cassazione, è l'irrazionalità dell'attuale distribuzione delle sedi giudiziarie, che "sfugge ai più elementari principi di buona organizzazione degli uffici pubblici". In attesa di una riforma organica, urge un ripensamento in grado di abbattere gli elevati costi di gestione e il rischio paralisi nei piccoli uffici. Intanto, per esempio, si potrebbero almeno trasformare - subito - in via transitoria, i circa 60 Tribunali periferici in sezioni distaccate del Tribunale del capoluogo di Provincia. Ciò consentirebbe di conservare intatta la rete territoriale, ma di centralizzare in capo al presidente del Tribunale provinciale la gestione del personale e delle risorse, con ben maggiore efficienza e flessibilità, rendendo un servizio migliore, anche nelle stesse sedi distaccate. Considerazioni e suggerimenti "strutturali" arrivano anche dal vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Nicola Mancino. Il vertice del Csm ha messo in evidenza, in particolare, la scopertura di circa 200 posti negli uffici delle Procure e di una forte carenza del personale amministrativo e ha chiesto espressamente risposte su questo al ministro Alfano.

L'ipoteca di arretrati con cui la giustizia italiana continua a doversi confrontare è davvero gravosa. Solo nel civile, esiste un "cassetto" di oltre cinque milioni di cause giacenti. E anche nel penale la situazione è di lentezza e sovraccarico. I dati poco confortanti sono ben chiari al Guardasigilli, Angelino Alfano, che nei giorni scorsi ha presentato la tradizionale fotografia della Giustizia al Parlamento. Il ministro, nello spazio a lui riservato nel corso della cerimonia, ha sottolineato però la necessità di "un grande lavoro di squadra", perchè solo così si potranno "superare le difficoltà tecniche e anche quelle politiche". L'obiettivo del Governo è di ridare con urgenza dignità alla giustizia civile per eliminare l'enorme macigno degli arretrati e poi avviarsi a un regime di ragionevole durata che non può più attendere oltre. Per troppo tempo la giustizia civile è rimasta la "sorella povera" del sistema giudiziario a causa dello straordinario impatto mediatico esercitato sull'opinione pubblica dal processo penale. E, a questo proposito, uno dei primi obiettivi del Governo, ha spiegato, è ridare speditezza e garanzie al processo penale, "nel rispetto al contempo delle esigenze investigative e della dignità della persona, coinvolta in quella che troppo spesso diventa una gogna mediatica tanto invincibile quanto insopportabile".

Perfettamente allineato sul punto delle garanzie e della distensione di rapporti, il procuratore generale della Suprema Corte, Vitaliano Esposito, che ha lanciato la forte proposta di istituire, con un intervento normativo ad hoc, un'apposita sanzione ai magistrati per l'inserimento di estranei negli atti del processo. "È ben vero – ha osservato poi Esposito - che il conflitto tra politica e magistratura é rilevabile in qualsiasi società democratica, tanto da portare a definire questo fenomeno come espansione globale del potere giudiziario. Ma l'incontro-scontro tra il mondo giuridico e quello politico genera sconcerto nell'opinione pubblica. E la credibilità della giustizia si dissolve laddove questo scontro si incunei all'interno della stessa magistratura".

Prima dell'intervento conclusivo dell' Avvocato generale dello Stato, Oscar Fiumara, la parola è andata al presidente del Consiglio Nazionale Forense, Guido Alpa. Proprio l'avvocatura, consapevole della vera situazione di crisi della giustizia, è pronta ad assicurare un contributo concreto alla soluzione dei problemi, guardando con favore alla creazione degli organismi di conciliazione previsti dal provvedimento di riforma ora in discussione al Senato (As1082).

 

 

 

 

 

 

 

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2009-01-28

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